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APPUNTI DI VIAGGIO – Salento

16 novembre 2010


il Salento va di moda
per questo è immorale visitarlo durante i mesi di luglio e agosto.
A settembre invece
quando la variegata orda di barbari
ha fatto ormai ritorno ai bivacchi invernali
tutto diventa più lento
più pulito
più godibile.
Accenti bergamaschi e padovani
si fanno sempre più rari.
Giusto qualche ucraino si sente parlare di tanto in tanto,
spedito giù a Gallipoli dall’agenzia di viaggi di Kiev
a prezzo pieno
con l’illusione di trovarsi in piena estate.
D’altra parte cosa rimarrebbe di questi caucasici privi di melanina
se si avventurassero nella spiaggia dei cavalli col sole di agosto?

Mancaversa
ridente marina di Tajanu
ci aspetta sotto un diluvio biblico.
È evidente che le strade non siano state pensate in funzione di questo strano fenomeno!
Le tettoie dei ristoranti grondano acqua.
I lampioni fanno subito natale grazie ad un’improvvisata intermittenza.
I tombini, non essendo previsti,
non inghiottono quei pochi millimetri di acqua che vengono giù durante un temporale estivo
e tutto si trasforma in piscina olimpionica nel giro di qualche ora.
La festa appena cominciata
è già finita
ci viene da cantare
apprestandoci a passare la prima notte insaccati in materassi a cunetta
che arrivano direttamente dagli anni ottanta
insieme ai cuscini più alti su cui la mia testa si sia mai poggiata!
Eppure
il giorno dopo
ci sveglia l’estate,
col sole a picco e il cielo limpido
il mare, quasi, calmo
e la spiaggia asciutta
come se tutta quell’acqua non fosse mai caduta!

Marina di Mancaversa
è un incrocio di case bianche
impreziosite con gusto
da florilegi di balaustre in puro acciaio inossidabile color ottone,
l’originale,
lo stesso che pubblicizzava la delicata Sora Lella
per conto di infissi nettunense!
Non si fa fatica ad immaginare le bande di bambini urlanti
che d’estate invadono le strade a scacchiera.
Ora invece
solo qualche comitiva canuta e locale
anima le verande delle poche case ancora aperte.
Sembra che qui lo straniero non sia ben tollerato.
Incomprensibile, essendo l’unico motivo di sostentamento.
A chi venderebbe la pasta a quattro euro al chilo la signora sdentata che gestisce l’alimentari?
A chi farebbe pagare 25 centesimi per un limone da mettere sulle cozze il panciuto dell’ortofrutta?
A chi rifilerebbe gamberi viola di Gallipoli a CINQUANTA EURO AL CHILO la pescivendola finto-cordiale, che un chilo di cozze te le pulisce (con maggiorazione di prezzo) e mezzo chilo no?
Ma quello che conta è il mare
mica gli indigeni.
E c’è solo l’imbarazzo della scelta.
A cento metri c’è la spiaggetta da due posti
che si fa strada fra gli scogli e finisce in un mare verde e trasparente.
A cinquecento metri c’è la spiaggia dei CAVADDI
al riparo dalle correnti
calma come una piscina
la spiaggia “del popolo”
affollata da una ventina di persone!
E poi basta spostarsi di qualche chilometro
per arrivare alle maldive pugliesi
delle marine di Ugento,
con spiaggia bianca e mare accogliente e cristallino.
E che piacere
dopo una giornata passata a crogiolarsi al sole
perdersi nei vicoletti del paesino che dà il nome alla marina,
sorseggiare senza fretta un apertass,
godersi l’atmosfera rilassata di mura antiche incendiate dal tramonto!
Se invece si sale verso gallipoli
si finisce dentro la baia verde
il salotto fighetto del Salento
con stabilimenti avvolti da musica da discoteca pure alle dieci di mattina
con ombrelloni muniti di pannelli solari per ricaricare il telefonino, anzi, che dico?! l’iphone,
con vasche jacuzzi per rilassarsi in vista dell’aperitivo!
Fra tutti spicca la perla del ritrovo gay
IL MAKÒ
regno del pettorale scolpito e della tartaruga
dove una rigida selezione naturale relega i fuori-forma al di là della pedana d’onore,
dove è vietato ballare se non si ha qualcosa in mano
da bere
e se non si dimostra di avere una collezione variegata di infradito e canotte.
È il paradiso dell’occhiale da sole a goccia,
è il tempio del mojito,
è l’olimpo del piercing al capezzolo.

Riuscire a respirare tale raffinata atmosfera lounge
non è impresa da sprovveduti.
Un purgatorio di sentieri sterrati e parcheggi incustoditi
protegge il giardino dell’eden.
Solo i più smart superano indenni le tentazioni effimere di piaceri carnali
e conquistano il proprio centimetro quadrato di felicità.
Tutti gli altri
sono condannati a girare in eterno
dentro vetture dai vetri abbassati
scambiando occhiate di intesa con chi si riconosce come proprio simile,
annusando la vera vita che a pochi metri va avanti senza di loro
e trovando sollievo in amori fugaci
consumati in un misto di eccitazione e vergogna
dietro monumentali pale di fichi d’india.

E chi non si ritrova nello stereotipo della finocchia palestrata simil-maschio?
Chi rinnega il contorno occhi anti borse?
Per tutti quelli che non hanno paura di dire no alla ceretta al titanio,
quella rosa,
che riduce al minimo le irritazioni della depilazione,
per tutti loro il Salento ha ritagliato un angolo di paradiso
inospitale
scomodo
un PORTOSELVAGGIO
a cui si approda solo se se ne conosce l’esistenza,
dopo essersi lasciati alle spalle
Santa Maria al bagno, baietta dal nome quasi blasfemo, frequentata da un proletariato chic,
e Santa Caterina, elitaria e un po’ scostante.
Ci si arriva soprattutto dopo aver lasciato la macchina per strada
in curva
senza alcuna certezza di ritrovarla al ritorno,
e dopo essersi avventurati in almeno mezzora di macchia mediterranea
vialoni tagliafuoco
e dirupi sdrucciolevoli.
Se poi si ha la fortuna di esser scortati da chi ci è già stato tante volte
allora ci si può mettere anche un’ora!
Nessun sentiero è tracciato,
solo aguzzando la vista si potranno scorgere, in cima a vette impervie, sentinelle denudate che scrutano l’orizzonte e tengono d’occhio l’arrivo dei pochi avventori, indicando loro la via.
Per arrivare al mare bisogna ritrovare dentro di sé l’istinto della tartaruga,
e quando ci si arriva
bisogna adattarsi alla vita del pellicano e accovacciarsi su scogli acuminati.
Fare il bagno poi è impresa da fachiri,
resistere al dolore è l’unico modo di affrontare i ricci che piastrellano ogni accesso all’acqua,
e se l’intenzione è quella di toglierne di mezzo un po’
scegliete bene il collaboratore che dovrà passarvi il coltello per scalzarli dalla loro casa.
Un insieme di mancanza di equilibrio
acque agitate
e occhialetti che bloccano l’afflusso di sangue al cervello
potrebbero costarvi la carotide!
Qui è impossibile trovare incauti acquirenti del power balance
tutto quello che può capitare è
imbattersi in un sosia di Gabriele Salvatores in versione yoga
un po’ avvizzito ma con belle gambe
oppure in un vecchietto super-attrezzato
che ti sbatte in faccia la sua organizzazione per sottolineare la mancanza della tua,
e cerca di irretirti col colpo della stella marina
raccolta per te dagli abissi inospitali.
Per far naufragare il suo piano
è sufficiente resistere alla tentazione di stringere in mano quel mostro a cinque punte
e declinare l’invito
ringraziando il vecchietto
dandogli del lei!
Che sapore poi gustare una frisella ammollata nell’acqua di mare
con un pomodoro di coltivazione biologica strofinato sopra.
Che sapore assume quella burrata lasciata macerare nello zaino per qualche ora
tanto da donarle un leggero colorito ambrato.
Che esperienza indimenticabile
in quell’angolo di pace
dover ingurgitare tutto in pochi secondi
per non essere assalito da fameliche vespe spazzine!
Ovvio, dopo un tale ritorno alle origini
il fisico e la mente fanno fatica ad risettare l’orologio biologico.
Si dormono notti agitate
ci si sveglia con un inspiegabile senso di smarrimento.
Si rischia di far colazione senza togliersi il bite,
di farfugliare frasi incomprensibili riguardo a mozzarelle che prima erano sul tavolo e ora non ci sono più,
di prendere una fetta biscottata e versarci sopra del latte
salvo poi rendersi conto di non avere in mano una frisella
e che il latte non è olio!

Proprio così!
Il Salento ti spinge a riconciliarti con la tradizione,
a recuperare il vero.
Sagre di paese si rincorrono una via l’altra.
Gli ingredienti sono sempre gli stessi:
bancarelle gestite da un amalgama affascinante di cinesi e polacchi,
la processione del santo di turno,
il cantante,
la luminaria a scialo, alimentata da centrali nucleari costruite per l’occasione,
provocando una voragine nei conti del comune
ma che importa?
quello che conta è superare i maledetti del paese vicino!
Fra distese di imbonitori che
ipnoticamente
ripetono il loro show pieno zeppo di messaggi subliminali
per portare la mente più debole
ad acquistare cinque magic-mop
e dieci stracci superassorbenti da regalare alle donne di casa,
si riesce ancora a scorgere qualcosa di verace,
come il vecchio che
con guanti di lattice, ahimé,
dispensa alici alla scapece,
condite con mollica di pane ammollata nell’aceto e cosparsa di zafferano.
Un quadretto molto coreografico
che è meglio godersi con gli occhi e resistere alla tentazione dell’assaggio!
L’apparenza, spesso, inganna!
Per questo è necessario diffidare dalle trappole turistiche disseminate ovunque.
Se si vuol mangiare bene bisogna affidarsi a due regole alternative:
scegliere il posto che mai si sceglierebbe a prima vista;
farsi guidare da risorse locali.
Così succede che fra tutti i ristoranti di pesce nell’infinito lungo mare
che da Gallipoli conduce a Porto Cesareo
ti fermi da MARUZZELLA
baluardo del tavolo di plastica e del tovagliolo di carta
dove l’odore del mare ti investe non appena scendi le scale,
trovandoti di fronte ad una montagna di ricci da una parte
e ad una montagna di cozze dall’altra
con in mezzo l’addetto alla mondatura
che smista porzioni di salmastre crudité
per tutti gli estimatori ancora convinti che il mare sia quello di cinquant’anni fa!
Il posto è molto bello,
una terrazza sul mare,
l’unico tavolo a cui non sedersi è quello in corrispondenza del bocchettone che scarica i fumi della cucina!
Il servizio è senza fronzoli e soprattutto celere,
per alcune portate addirittura immediato,
basta scegliere un souté di cozze
per vederselo comparire sulla tavola ancora prima che il cameriere abbia inoltrato l’ordine!
Per i profani del pesce,
categoria a cui appartengo da sempre e sempre di più,
il menù tipico del bambino di dieci anni soddisfa in pieno:
cozze nere
spaghetti allo scoglio
frittura di calamari.
Abbondante
leggero
economico.
L’unico rammarico è la corpulenza diffusa dei camerieri,
tutti nati dalla stessa madre,
tutti troppo sensibili al caldo
con conseguenze facili da immaginare
e difficili da dimenticare!
E tuttavia siamo ancora sul lungo mare,
il turista è in agguato.
Per seminarlo definitivamente
(e soprattutto per sfuggire alla regola che in Puglia bisogna carburare a pesce)
ci si deve avventurare nell’entroterra
fino a raggiungere Soleto,
paesino buio
perché tutta l’illuminazione pubblica è spesa per esaltare la bellezza di un campanile del 1400,
molto suggestivo in effetti.
che la vecchia si rompa pure una gamba rientrando a casa!
Ebbene, Soleto, fra le sue tenebre, nasconde una perla!
La pizzeria/trattoria Tozzi
ti accoglie con i suoi fumi di fritto ancora prima di arrivare,
indicandoti la via!
All’ingresso
l’attenzione è rapita da
vassoi pieni di fettine e bistecche di una carne rosso vivo
che a leggere il menu si impara essere di cavallo.
Al centro della sala invece
un torrione di antipasti funziona da aperitivo!
L’ambiente è casereccio
molte famiglie
molti bambini.
Si ha l’impressione che tutte le persone che lavorano lì dentro
vorrebbero trovarsi da tutt’altra parte!
Nessun gesto gentile
nessuna cerimonia.
Per chi non mastica la lingua
è faticoso capire quello che dice il cameriere storto,
ma con l’aiuto del menù
e di qualche dritta portata da casa
si riescono ad assaggiare
delle crocchette di patate fatte in casa
lunghe e sottili come grissini
servite calde e croccanti.
L’antipasto è a buffet
mangi tutto quello che riesci a mettere nel piatto!
Il piatto però è quello dei dolci
non quello regolare,
astuzia che si ritorce contro l’oste
e ti spinge alla rivalsa.
Tra palline fritte di cui è impossibile sapere il contenuto
paste ricresciute
peperoni arrostiti
lampascioni
parmigiana di melanzane
olive pugliesi
frittate
sformatini di ricotta
e patate
il piatto finisce per ospitare una piramide che sfida le leggi della fisica.
Qualcosa si perde per strada
durante il tragitto che riporta al tavolo
ma pazienza,
è un rischio calcolato,
il resto fa bottino
e toglie l’appetito, altro che antipasto!
Sarà per quello che la carne di cavallo non esalta
e i turcineddi,
involtini di fegato e cuore di agnello, legati con interiora,
ti danno il colpo di grazia!
Non rimane che aspettare di rientrare in possesso delle facoltà mentali,
annebbiate dal rosé della casa,
contando quante volte
dei teneri bambini
vengano sbirillati dalla porta a spinta
aperta con diabolica noncuranza
dal cameriere storto e dalla perfida moglie dell’oste!

One Comment
  1. vitox permalink

    Oh my Gosh. Sono pugliese d’adozione oramai da una trentina d’anni e la lettura del tuo racconto è stata davvero piacevole. Quando ho letto di Porto Selvaggio un brivido mi ha percorso la schiena. Mi hai ricordato di quando, tanti anni fa, toccò a me e alla mia sgangherata comitiva avventurarci alla scoperta di quella spiaggia (?). Poi ci tornai diverse altre volte perchè preferisco gli scogli alla sabbia.

    Davvero complimenti.

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